Uno è stato il cantante più famoso della storia del pop. L'altro è un regista cult. Si sono incrociati in una favela brasiliana, per girare un video, nel 1996. Ora un documentario che celebra i 25 anni di Bad li ha uniti di nuovo, nel nome di un amore di vecchia data, cominciato con una pettinatura afro.
La prima reazione è che non sai dove guardare: se lui o la sua maglietta. Spike Lee o il faccione di Michael Jackson che si porta dietro, stampato sul petto come un ragazziono al concerto. La scelta sembra banale ma non lo è (e l'effetto ampiamente cercato). Perchè l'insieme dei due è la metafora perfetta di Bad 25 (documentario dedicato da Spike Lee a Jacko per celebrare i venticinque anni dall'uscita di uno dei suoi album più celebri, una delle cose più belle viste all'ultima Mostra del cinema di Venezia): il tributo di un fan al suo idolo. "Una lettera d'amore", puntualizza lui, seduto su un divano dell'hotel Excelsior al Lido di Venezia. Ha un basco spiaccicato sulla testa, due occhi enormi sempre in movimento e un'espressione da cartone animato.
- La verità è che io volevo essere Michael Jackson.
- Prego?
- Io sono del 57, lui del 58. Praticamente coetanei. La prima volta, l'ho visto con i Jackson Five nello show di Ed Sullivan sulla Abc. Me lo ricordo ancora. Avevo 12 anni. Decisi che volevo essere come lui. Purtroppo non sapevo né cantare né ballare, ma mi feci crescere i capelli afro. (Ride)
- Uno spettacolo.
- Scherzi a parte, io e lui siamo cresciuti insieme, abbiamo visuuto gli stessi anni turbolenti: le proteste civili, il femminismo, la guerra in Vietnam. Anni in cui, in America, capitava di tutto.
- Lei, però, con i suoi film ha fatto da megafono per la popolazione afroamericana. Michael Jackson ha cercato di cancellare il nero della sua pelle. La cosa non l'ha delusa?
- No. Michael desiderava schiarirsi la pelle, ma non ne ha mai fatto una questione pubblica.
- Fu comunque criticato dalla comunità afroamericana.
- Con Thriller era diventato la faccia più famosa della Terra e ci fu la sensazione, tra le persone di colore, che lui stesse in un certo senso rinnegando le sue origini. Come spiego nel documentario, il video di Bad lo volle proprio per rispondere a queste accuse. E' vestito da nero e parla da nero, come a dire: "Sono sempre qui. Non vi preoccupate, fratelli, resto uno di voi."
- Quella non fu l'unica critica che si tirò addosso.
- Vero. Ma fa parte della natura umana: se una persona diventa grande, si cerca di trascinarla a fondo.
- Basta questo a spiegare le accuse che gli lanciarono?
- Magari lei non se lo ricorda, ma io che sono un po' più vecchio, non l'ho ancora dimenticato: 25 anni fa, Michael Jackson era l'uomo più famoso del mondo. E essere l'uomo più famoso sulla faccia della Terra ha delle conseguenze violente. La prima è che entri in un meccanismo per cui devi continuare ad esserlo. Lui è l'autore del disco che ha venduto di più nella storia della musica. Ha idea di che cosa significhi? E' un successo che la gente non ti perdona. Iniziano a criticarti, criticarti, criticarti.
- E ora che non c'è più?
- Le persone comuni muoiono e tutto si interrompe, com'è giusto che sia. Lui invece non è morto. Michael Jackson non morirà mai. E ora, forse, sta ricevendo l'amore che non ha mai avuto quando era tra noi.
- Amore meritato?
- Certo. Era un essere umano, non un freak. Un bambino venuto al mondo con un talento fuori dalla norma: cantava e ballava come nessuno. Gli altri giocavano a baseball lui doveva ballare. Non aveva scelta. Suo padre aveva deciso così per lui e i suoi fratelli. E poi basta: della sua vita personale si è già parlato troppo. Io ho voluto spostare l'attenzione sulla sua musica, su come nascevano le sue canzoni.
- Nel documentario compaiono moltissime delle persone che hanno lavorato con lui: produttori, amici, colleghi. Come li ha convinti?
- L'hanno fatto per lui, non per me.
- Anche Justin Bieber?
- Perchè tutti continuano a chiedermi di lui? (Scoppia a ridere)
- Ha intervistato anche Scorsese.
- Martin è un mio caro amico.
- Non tutti ricordano che il video di Bad è suo.
- In un certo senso, è stata una riscoperta anche per lui. Non vedeva il backstage da 25 anni.
- Nel suo film, però manca qualcuno.
- Chi?
- Quincy Jones, e i parenti di Jackson.
- Quincy ha più di ottant'anni e i nostri piani di lavoro erano poco elastici. Avrebbe dovuto prendere l'aereo per venire. Non gliene faccio una colpa.
- E i parenti di Michael Jackson?
- Nessuno di loro aveva avuto a che fare con la produzione di Bad.
- Ricorda il vostro primo incontro?
- A una cena di beneficenza. Una presentazione veloce.
- Poi la chiamò per un video.
- They don't care about us. Lo girammo in Brasile, in una favela. E' stata la cosa più difficile della mia vita. C'era polizia dappertutto. Il ragazzo chiamato per assicurare la sicurezza di Michael era un suo grande fan. Gli dissi che quello doveva diventare il posto più sicuro del mondo. E sapete una cosa? Lo diventò. Sembrava la città di Dio. La città di Dio si materializzò grazie a Michael Jackson. E' la verità, signora.
- Che uomo era Jackson?
- Come faccio a dirlo? In Brasile siamo andati per lavorare, non per divertirci. Stavamo 15 ore sul set poi andavamo a dormire. E' stata un'esterienza grandiosa, questo sì. Michael aveva studiato da regista, quindi sapeva benissimo come funzionavano le telecamere e le lenti. Faceva domande su tutto.
- Come prese la notizia della sua morte?
- Non ci ho creduto, come tutti. Ero a una conferenza a Cannes e non ho dato peso alla cosa. Più tardi ho acceso la Cnn e ho visto suo fratello Jermaine che parlava dall'ospedale. Era vero. Sono rimasto con uno stato di confusione addosso per mesi.
- Addirittura?
- Mia moglie e i miei figli non riuscivano a capire che cosa avessi. Ho comprato tutti i suoi dischi e per mesi non ho fatto altro che ascoltare la sua musica. Credo che in casa non ne potessero più di sentirlo.
- In effetti, visti i suoi film, sembra che la musica le interessi parecchio.
- Ci ho lavorato su.
- Anche lei è musicista?
- No, mio padre lo era. Io ho solo un buon orecchio. Il resto è mestiere.
- Non è solo mestiere.
- Giuro. Come regista devi imparare a usare la telecamera, a organizzare la produzione, i costumi, gli attori, i dialoghi. La musica è uno degli strumenti con cui racconti le storie. Certe cose io le ho imparate da mio padre: ha suonato con Bob Dylan, Peter Mennin, Judy Collins. Era un jazzista e in casa nostra non entrava altro che jazz. Tutto il resto lo dovevo ascoltare di nascosto, anche i Beatles o i Motown.
- Addirittura?
- Mio padre aveva le sue convinzioni incrollabili. Per dire: si rifiutò di passare dal basso acustico a quello elettrico. A costo di non guadagnare più. Con cinque figli non è facile. Tant'è che mia madre andò a lavorare.
- Anche lei è testardo come suo padre?
- Quando mia moglie si lamenta, le dico di prendersela con lui.
- Bad 25 andrà nei cinema?
- Non credo. Ma fosse per me si. Questa abitudine di vedere le cose in televisione mi uccide. Peggio: i ragazzi dell'età di mio figlio guardano i film per la prima volta sull'Iphone. Uno schermino piccolo così! E' criminale. Guardano anche Il padrino e Taxi driver, lì sopra.
- Meglio non vederli?
- Si. Non la prima volta, almeno.
Fonte: Gioia n° 37
La prima reazione è che non sai dove guardare: se lui o la sua maglietta. Spike Lee o il faccione di Michael Jackson che si porta dietro, stampato sul petto come un ragazziono al concerto. La scelta sembra banale ma non lo è (e l'effetto ampiamente cercato). Perchè l'insieme dei due è la metafora perfetta di Bad 25 (documentario dedicato da Spike Lee a Jacko per celebrare i venticinque anni dall'uscita di uno dei suoi album più celebri, una delle cose più belle viste all'ultima Mostra del cinema di Venezia): il tributo di un fan al suo idolo. "Una lettera d'amore", puntualizza lui, seduto su un divano dell'hotel Excelsior al Lido di Venezia. Ha un basco spiaccicato sulla testa, due occhi enormi sempre in movimento e un'espressione da cartone animato.
- La verità è che io volevo essere Michael Jackson.
- Prego?
- Io sono del 57, lui del 58. Praticamente coetanei. La prima volta, l'ho visto con i Jackson Five nello show di Ed Sullivan sulla Abc. Me lo ricordo ancora. Avevo 12 anni. Decisi che volevo essere come lui. Purtroppo non sapevo né cantare né ballare, ma mi feci crescere i capelli afro. (Ride)
- Uno spettacolo.
- Scherzi a parte, io e lui siamo cresciuti insieme, abbiamo visuuto gli stessi anni turbolenti: le proteste civili, il femminismo, la guerra in Vietnam. Anni in cui, in America, capitava di tutto.
- Lei, però, con i suoi film ha fatto da megafono per la popolazione afroamericana. Michael Jackson ha cercato di cancellare il nero della sua pelle. La cosa non l'ha delusa?
- No. Michael desiderava schiarirsi la pelle, ma non ne ha mai fatto una questione pubblica.
- Fu comunque criticato dalla comunità afroamericana.
- Con Thriller era diventato la faccia più famosa della Terra e ci fu la sensazione, tra le persone di colore, che lui stesse in un certo senso rinnegando le sue origini. Come spiego nel documentario, il video di Bad lo volle proprio per rispondere a queste accuse. E' vestito da nero e parla da nero, come a dire: "Sono sempre qui. Non vi preoccupate, fratelli, resto uno di voi."
- Quella non fu l'unica critica che si tirò addosso.
- Vero. Ma fa parte della natura umana: se una persona diventa grande, si cerca di trascinarla a fondo.
- Basta questo a spiegare le accuse che gli lanciarono?
- Magari lei non se lo ricorda, ma io che sono un po' più vecchio, non l'ho ancora dimenticato: 25 anni fa, Michael Jackson era l'uomo più famoso del mondo. E essere l'uomo più famoso sulla faccia della Terra ha delle conseguenze violente. La prima è che entri in un meccanismo per cui devi continuare ad esserlo. Lui è l'autore del disco che ha venduto di più nella storia della musica. Ha idea di che cosa significhi? E' un successo che la gente non ti perdona. Iniziano a criticarti, criticarti, criticarti.
- E ora che non c'è più?
- Le persone comuni muoiono e tutto si interrompe, com'è giusto che sia. Lui invece non è morto. Michael Jackson non morirà mai. E ora, forse, sta ricevendo l'amore che non ha mai avuto quando era tra noi.
- Amore meritato?
- Certo. Era un essere umano, non un freak. Un bambino venuto al mondo con un talento fuori dalla norma: cantava e ballava come nessuno. Gli altri giocavano a baseball lui doveva ballare. Non aveva scelta. Suo padre aveva deciso così per lui e i suoi fratelli. E poi basta: della sua vita personale si è già parlato troppo. Io ho voluto spostare l'attenzione sulla sua musica, su come nascevano le sue canzoni.
- Nel documentario compaiono moltissime delle persone che hanno lavorato con lui: produttori, amici, colleghi. Come li ha convinti?
- L'hanno fatto per lui, non per me.
- Anche Justin Bieber?
- Perchè tutti continuano a chiedermi di lui? (Scoppia a ridere)
- Ha intervistato anche Scorsese.
- Martin è un mio caro amico.
- Non tutti ricordano che il video di Bad è suo.
- In un certo senso, è stata una riscoperta anche per lui. Non vedeva il backstage da 25 anni.
- Nel suo film, però manca qualcuno.
- Chi?
- Quincy Jones, e i parenti di Jackson.
- Quincy ha più di ottant'anni e i nostri piani di lavoro erano poco elastici. Avrebbe dovuto prendere l'aereo per venire. Non gliene faccio una colpa.
- E i parenti di Michael Jackson?
- Nessuno di loro aveva avuto a che fare con la produzione di Bad.
- Ricorda il vostro primo incontro?
- A una cena di beneficenza. Una presentazione veloce.
- Poi la chiamò per un video.
- They don't care about us. Lo girammo in Brasile, in una favela. E' stata la cosa più difficile della mia vita. C'era polizia dappertutto. Il ragazzo chiamato per assicurare la sicurezza di Michael era un suo grande fan. Gli dissi che quello doveva diventare il posto più sicuro del mondo. E sapete una cosa? Lo diventò. Sembrava la città di Dio. La città di Dio si materializzò grazie a Michael Jackson. E' la verità, signora.
- Che uomo era Jackson?
- Come faccio a dirlo? In Brasile siamo andati per lavorare, non per divertirci. Stavamo 15 ore sul set poi andavamo a dormire. E' stata un'esterienza grandiosa, questo sì. Michael aveva studiato da regista, quindi sapeva benissimo come funzionavano le telecamere e le lenti. Faceva domande su tutto.
- Come prese la notizia della sua morte?
- Non ci ho creduto, come tutti. Ero a una conferenza a Cannes e non ho dato peso alla cosa. Più tardi ho acceso la Cnn e ho visto suo fratello Jermaine che parlava dall'ospedale. Era vero. Sono rimasto con uno stato di confusione addosso per mesi.
- Addirittura?
- Mia moglie e i miei figli non riuscivano a capire che cosa avessi. Ho comprato tutti i suoi dischi e per mesi non ho fatto altro che ascoltare la sua musica. Credo che in casa non ne potessero più di sentirlo.
- In effetti, visti i suoi film, sembra che la musica le interessi parecchio.
- Ci ho lavorato su.
- Anche lei è musicista?
- No, mio padre lo era. Io ho solo un buon orecchio. Il resto è mestiere.
- Non è solo mestiere.
- Giuro. Come regista devi imparare a usare la telecamera, a organizzare la produzione, i costumi, gli attori, i dialoghi. La musica è uno degli strumenti con cui racconti le storie. Certe cose io le ho imparate da mio padre: ha suonato con Bob Dylan, Peter Mennin, Judy Collins. Era un jazzista e in casa nostra non entrava altro che jazz. Tutto il resto lo dovevo ascoltare di nascosto, anche i Beatles o i Motown.
- Addirittura?
- Mio padre aveva le sue convinzioni incrollabili. Per dire: si rifiutò di passare dal basso acustico a quello elettrico. A costo di non guadagnare più. Con cinque figli non è facile. Tant'è che mia madre andò a lavorare.
- Anche lei è testardo come suo padre?
- Quando mia moglie si lamenta, le dico di prendersela con lui.
- Bad 25 andrà nei cinema?
- Non credo. Ma fosse per me si. Questa abitudine di vedere le cose in televisione mi uccide. Peggio: i ragazzi dell'età di mio figlio guardano i film per la prima volta sull'Iphone. Uno schermino piccolo così! E' criminale. Guardano anche Il padrino e Taxi driver, lì sopra.
- Meglio non vederli?
- Si. Non la prima volta, almeno.
Fonte: Gioia n° 37
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